Caro Censin,
anch’io ricordo benissimo i cinegiornali, la “Settimana Incom” in particolare.
E ricordo anche che con frequenza venivano proiettati sugli schermi cinegiornali dedicati esclusivamente alle mostre di “arte moderna”, come si diceva allora, caratterizzati da un linguaggio incomprensibile al grande pubblico e da una durata dai più ritenuta eccessiva. Anche nei cinema più eleganti, dopo una decina di minuti di paziente sopportazione, il pubblico si scatenava in una serie di fischi ed urla “Macchinista, basta!”, peraltro senza alcun effetto: quest’ultimo non risparmiava a platea e galleria un solo fotogramma.
Un altro grido che talvolta riecheggiava nelle sale era causato dalle scene d’amore un po’ audaci. Quando la protagonista accennava a togliersi qualche indumento proibito, l’immagine risaliva di solito ad inquadrare la testa, provocando la consueta protesta del buontempone di turno, “Macchinista, quadro!”. Altri tempi: nessuno avrebbe immaginato all’epoca che il nudo cinematografico sarebbe divenuto di lì a pochi anni merce comune. Osservo di sfuggita che, senza mostrarsi troppo, molte dive del tempo avevano una carica di fascino e sensualità che ben poche attrici oggi possono vantare.
Tornando al tram, se non erro la rete di Buenos Aires, di enormi dimensioni, fu chiusa nel giro di pochi giorni alla fine del 1962. L’ultima linea, esclusivamente a servizio di una famosa birreria, venne abbandonata l’anno seguente.
Oggi però il tram circola nuovamente nella capitale argentina, sia pure su scala ridotta. Se ne potrà parlare in altra sede.
Cordiali saluti da
Paolo